In questo momento è suonato il telefono del Giapponese per la prima volta in una settimana. Oggi oltre a togliersi le scarpe ogni tanto si stiracchiava mugolando. Sta invecchiando, e le troppe ore al pc gli fanno male.
Sognando la California
Diario del mio periodo di studio a Palo Alto
Friday, September 29, 2006
La luce
Mi devo contraddire rispetto a quanto appena detto. Qui in Università tengono al risparmio energetico. In tutti gli uffici e le sale infatti non ci sono i normali interruttori per accendere e spegnere la luce, ma dei sensori di presenza. Il risultato più immediato di questa politica di risparmio energetico è probabilmente una maggiore salute e un minore peso delle persone che lavorano negli uffici. Infatti i sensori non sono ancora così avanzati da percepire il movimento delle dita sulla tastiera, e ogni 15 minuti circa le luci dell'ufficio si spengono e qualcuno si deve alzare e cominciare a saltare per farsi notare dal sensore. Esilarante.
Il giapponese
Ho scoperto che il giapponese che si toglie le scarpe si chiama Harry. Oltre che a scrivere sul computer ogni tanto va a teatro. Non me lo sarei aspettato da uno come lui.
L'aria condizionata
Fuori ci sono 2o°C (eh sì, sta arrivando l'inverno anche qui) e in Università ancora c'è l'aria condizionata accesa. Oggi ho localizzato il termostato e senza dire niente a nessuno l'ho spenta. Ho scoperto che anche l'Università, come tutte le abitazione della zona, hanno il riscaldamento elettrico, niente caldaia, tubi con acqua calda o simili, semplicementa basta azionare una levetta e si accende, tanto qui efficienza e risparmio energetico non sanno neanche cosa sono. Così ho provato ad accendere il riscaldamento. Nessuno se ne è accorto, ma quando sono tornato da pranzo qualcuno aveva riacceso l'aria condizionata!
Wednesday, September 27, 2006
Stasera sono stato alla Google: sembra più un villaggio vacanze che un’azienda, con piscina, campo da beach volley, ombrelloni, massaggiatore, mensa aperta anche alla sera (brutto segno), e le sedie colorate come il logo. A dire il vero mi aspettavo un cartello “Google” gigante illuminato da luci psichedeliche, invece Google è scritto da tutte le parti, ma in piccolo – dicono che sia perché Google è favorevole all’understatement… In ogni caso l’edificio è ispirato alla semplicità e alla chiarezza, come Google stesso. Non è male!
Nell’atrio dell’edificio principale (Google è un campus enorme, composto da vari edifici) c’è un maxischermo dove vengono proiettate in tempo reale le frasi che dicono vengano cercate tramite il motore di ricerca. Secondo me in realtà è un fake, come dicono qui, una farsa, perché con tutte le persone che usano Google ci saranno ben più di una richiesta al secondo!
Si vede che siamo in California, infatti il manager che presentava aveva una camica a quadri maniche corte, un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica. Formale quasi come da noi direi!
Nell’atrio dell’edificio principale (Google è un campus enorme, composto da vari edifici) c’è un maxischermo dove vengono proiettate in tempo reale le frasi che dicono vengano cercate tramite il motore di ricerca. Secondo me in realtà è un fake, come dicono qui, una farsa, perché con tutte le persone che usano Google ci saranno ben più di una richiesta al secondo!
Si vede che siamo in California, infatti il manager che presentava aveva una camica a quadri maniche corte, un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica. Formale quasi come da noi direi!
Il lunch meeting
Tutti i martedì qui c’è uno dei tanto nominati (e temuti) lunch meeting.
Le cose sono organizzate in grande: il cibo (le schifezze) sono offerte dalla scuola, con un tecnico che si occupa di far andare un barbecue a gas nel giardino dell’università su cui vengono cotti hamburger e cotolette di pollo.
Le cose si svolgono in questo modo: l’appuntamento è a mezzogiorno, le persone si servono da sole in una saletta dove sono state preparate le cibarie (che rispetto ai pasti precotti sono un vero salto di qualità) e poi ci si trasferisce in una sala riunioni, tutti seduti attorno a un tavolo. Ogni martedì c’è un “evento” diverso, che può consistere nella proiezione di un video didattico, in una presentazione tenuta da un ricercatore o un membro della faculty oppure da una discussione aperta.
Ieri il meeting è stato aperto…da me, che mi sono presentato; poi è stato proiettato un video dal titolo “Meetings, bloody meetings” che spiegava come organizzare in modo efficiente le riunioni ed evitare di far perdere tempo agli altri. Devo dire che è stato molto interessante: simpatico, chiaro, con consigli utili a tutti. Seguono 10 minuti di discussione coordinati dal preside, e all’1pm la riunione è rigorosamente sciolta per non interferire con gli impegni pomeridiani delle persone.
Vale la pena soffermarsi un attimo sul “contesto”, cioè i partecipanti al lunch meeting. Tutti si ingozzano di hamburger a 3 strati con il grasso che cola (qualcuno se lo fa cadere sui pantaloni, ma tanto erano già sporchi...), però tutti rigorosamente bevono Coca Cola Light, perché ha meno calorie. La visione del film è accompagnata da un piacevole sottofondo di gente che addenta panini che fanno “squisch” perché pieni di salse e altre cose indicibili. Durante la discussione la gente interviene e parla con la bocca piena, magari leccandosi le dita unte, perché i tovaglioli non sono di moda.
Scherzi a parte penso che l’idea di trovarsi e mangiare davanti ad un video sia un’idea molto buona, è piacevole e permette di ottimizzare il tempo. Il problema è trovare i video giusti! Quanto alle presentazioni e alle discussioni, forse è meglio prima mangiare, magari in modo veloce, e poi cambiare sala e mettersi a parlare o ad ascoltare…
Le cose sono organizzate in grande: il cibo (le schifezze) sono offerte dalla scuola, con un tecnico che si occupa di far andare un barbecue a gas nel giardino dell’università su cui vengono cotti hamburger e cotolette di pollo.
Le cose si svolgono in questo modo: l’appuntamento è a mezzogiorno, le persone si servono da sole in una saletta dove sono state preparate le cibarie (che rispetto ai pasti precotti sono un vero salto di qualità) e poi ci si trasferisce in una sala riunioni, tutti seduti attorno a un tavolo. Ogni martedì c’è un “evento” diverso, che può consistere nella proiezione di un video didattico, in una presentazione tenuta da un ricercatore o un membro della faculty oppure da una discussione aperta.
Ieri il meeting è stato aperto…da me, che mi sono presentato; poi è stato proiettato un video dal titolo “Meetings, bloody meetings” che spiegava come organizzare in modo efficiente le riunioni ed evitare di far perdere tempo agli altri. Devo dire che è stato molto interessante: simpatico, chiaro, con consigli utili a tutti. Seguono 10 minuti di discussione coordinati dal preside, e all’1pm la riunione è rigorosamente sciolta per non interferire con gli impegni pomeridiani delle persone.
Vale la pena soffermarsi un attimo sul “contesto”, cioè i partecipanti al lunch meeting. Tutti si ingozzano di hamburger a 3 strati con il grasso che cola (qualcuno se lo fa cadere sui pantaloni, ma tanto erano già sporchi...), però tutti rigorosamente bevono Coca Cola Light, perché ha meno calorie. La visione del film è accompagnata da un piacevole sottofondo di gente che addenta panini che fanno “squisch” perché pieni di salse e altre cose indicibili. Durante la discussione la gente interviene e parla con la bocca piena, magari leccandosi le dita unte, perché i tovaglioli non sono di moda.
Scherzi a parte penso che l’idea di trovarsi e mangiare davanti ad un video sia un’idea molto buona, è piacevole e permette di ottimizzare il tempo. Il problema è trovare i video giusti! Quanto alle presentazioni e alle discussioni, forse è meglio prima mangiare, magari in modo veloce, e poi cambiare sala e mettersi a parlare o ad ascoltare…
Il campus è all'interno di un centro di ricerca della Nasa. All'ingresso ci sono i poliziotti e ogni tanto girano anche per gli uffici per vedere che non ci siano facce strane.
Stranamente non chiedono il passaporto, ma la patente. Io gli faccio vedere la mia "Patente Internazionale" rilasciata dall'ACI: dalla faccia capisco che non ne hanno mai vista una, non sanno cos'è e leggono nelle pagine sbagliate. "Is that a driving license?" - "Yes, it's an INTERNATIONAL driving license". La parola international crea sempre un'aura di timore e sorpresa..."Ok, I'll trust you". Mah!
Questo hangar è dietro all'edificio dell'università.
Stranamente non chiedono il passaporto, ma la patente. Io gli faccio vedere la mia "Patente Internazionale" rilasciata dall'ACI: dalla faccia capisco che non ne hanno mai vista una, non sanno cos'è e leggono nelle pagine sbagliate. "Is that a driving license?" - "Yes, it's an INTERNATIONAL driving license". La parola international crea sempre un'aura di timore e sorpresa..."Ok, I'll trust you". Mah!
Questo hangar è dietro all'edificio dell'università.
![](http://photos1.blogger.com/blogger/4494/3895/400/Moffet%20Fiedl.jpg)
Tuesday, September 26, 2006
L’Università. Nulla a che vedere con le nostre. Aperta 24h su 24, in bagno ci sono anche le doccie (anche in McKinsey c’erano, e questo è preoccupante), acqua e caffè gratis, telefoni e attrezzature per videoconferenze in tutti i corridoi, divanetti e lavagne in ogni angolo nel caso qualcuno voglia “meditare”. Nel campus c’è ovviamente un McDonald, ma l’università è dotata di una “mensa” ultramoderna: ci sono infatti dei distributori automatici con una vasta scelta di pasti precotti che ciascuno può comodamente scaldare nei forni a microonde messi gentilmente a disposizione dalla scuola. Il loro metodo didattico è veramente innovativo: i professori non fanno “lectures”, ma “coaching”. Il concetto di lezione frontale non esiste: gli studenti di master devono portare a compimento un certo numero di progetti per potersi laureare, e le lezioni sono riunioni in cui il professore fa da supervisore o da “mentore”. Molti progetti vengono poi proposti a venture capitalist o simili. Appena avrò capito qualcosa in più di come funzionano le cose vi racconterò meglio!
La gente in università. Non ho passato tanto tempo in uni, sono sempre stato in giro a cercar casa eccetera, ma per quel poco che ho potuto vedere l’ambiente è popolato da strani personaggi, per lo più indiani e giapponesi, tutti abbondantemente sopra gli 80 kg. Nel mio ufficio c’è un giapponese, non ho ancora capito cosa faccia, che passa tutto il giorno davanti ad un monitor, non mangia, non va in bagno, non parla, l’unica cosa che fa è togliersi le scarpe in modo inconscio mentre digita cose incomprensibili sulla sua tastiera. L’unica persona che si salva è la Master Director, una sorta di preside, che ama mangiare sano (si fa per dire), tant’è che preso dalla disperazione la sto invitando ad andare a pranzo insieme in città tutti i giorni. Peccato che sia sposata con una figlia di 7 anni. In questa settimana conoscerò più gente… vi saprò dire!
La gente fuori. Gli americani sono proprio un popolo diverso da noi. Ogni volta che ti rivolgi ad un americano ti dice “Hey, how are you doing?”... manco ti conosco, cosa cavolo ti interessa come sto… In realtà sono molto gentili e socievoli, non è raro che se sei fermo alla stazione del treno o della metropolitana qualcuno ti rivolga la parola. Purtroppo molto spesso non sanno andare al di là di “How are you doing?” or “Wow” o “You’ll find a nice climate here”, ho l’impressione le relazioni che si possono instaurare con loro siano abbastanza superficiali, ma forse mi sbaglio.
Mai come in America ci si sente europei, ancora prima che italiani. Di europei qui ce ne sono in giro veramente pochi, ma quei pochi li si riconosce lontano un miglio. Banalmente perché si vestono in modo decente e pesano meno di 100 kg. Oggi sono andato a San Francisco e sul treno ho conosciuto un gruppo di studenti europei: un ingegnere telecom austriaco, una studentessa austriaca di economia e un futuro psicologo milanese. La prima parola che ho captato dal milanese è stata “pirla”, così ho capito che era compatriota e ho attaccato bottone. Ragazzi simpatici, alla mano, e con cui si può parlare di qualcosa di serio.
San Francisco. E’ una città molto bella e affascinante, sicuramente più di Los Angeles, Las Vegas o Toronto. L’unico problema è che oggi noi ignari europei ci siamo imbattuti in una famosissima festa metropolitana, il Forlom St festival, che ogni anno a fine settembre attrae più di mezzo milione di persone da tutto il mondo. Si tratta di una vera e propria fiera, con bancarelle, banchi di beneficenza, spettacoli di musica, canto e danza, unico dettaglio è che è popolata da gay nudi e in catene. Penso nella mia vita di non aver mai visto nulla di simile, scene agghiaccianti che le parole non possono descrivere. Per fortuna del tutto innocui, nel senso che quando vedevano che eri vestito non ti prendevano neppure in considerazione. Comunque è stata un’esperienza culturale che forse una volta nella vita (non di più) è interessante fare.
Al di là di questo San Francisco è una città molto piacevole e stimolante da girare a piedi, alcune strade ricordano vagamente il cosmopolitismo di Londra. Oggi ho visitato il SFMOMA, il museo di arte moderna, veramente interessante, e sono andato al molo a vedere la baia, con Alcatraz circondata dalla nebbia: bellissimo! Sicuramente ci tornerò, ci sono un sacco di cose da vedere. Su un palazzo oggi ho letto una frase che diceva che è stata una fortuna che Colombo sia sbarcato sulla East Cost, perché se fosse sbarcato a San Francisco gran parte dell’America sarebbe ancora inesplorata.
I centri commerciali. Girare per un centro commerciale americano è un’altra esperienza culturale che non ci si può perdere. Al di là delle schifezze inverosimili che si trovano nel reparto cibo, ho visto frutti e verdure che non sapevo neanche che esistessero. Il latte viene venduto solamente in confezioni da 1 gallone (circa 4 litri) e ha scadenze improbabili di due settimane o più. E’ praticamente impossibile trovare un oggetto banale come uno stenditoio (tutti usano gli asciugatori), in compenso trovi gli elettrodomestici più disparati, come un macchine per cuocere il riso, apriscatole elettrici, tritaspazzatura, aspirapolvere grossi come un tagliaerba, ecc. Non sono riuscito a trovare un pentolino per scaldare il latte più piccolo di un tegame dove noi faremmo bollire latte per 10 persone (d’altra parte loro il latte lo bevono freddo o al massimo lo scaldano nel microonde), in compenso vendono pentole così grosse che ci si potrebbe cuocere dentro una persona. Lo scottex è largo almeno il doppio del nostro. Dimenticavo di dire che i centri commerciali sono solitamente aperti 24h su 24 e includono un MacDonald o un PizzaHut, non si sa mai…
Insomma, gli USA sono un posto veramente strano, però la California alla fine è davvero affascinante, con le sue palme e le montagne sullo sfondo. Guidare al tramonto sulla quarta corsia della 101 da Palo Alto a San Francisco, col pilota automatico impostato rigorosamente sui 65 mph e con musica country in sottofondo è davvero un’emozione!
La gente in università. Non ho passato tanto tempo in uni, sono sempre stato in giro a cercar casa eccetera, ma per quel poco che ho potuto vedere l’ambiente è popolato da strani personaggi, per lo più indiani e giapponesi, tutti abbondantemente sopra gli 80 kg. Nel mio ufficio c’è un giapponese, non ho ancora capito cosa faccia, che passa tutto il giorno davanti ad un monitor, non mangia, non va in bagno, non parla, l’unica cosa che fa è togliersi le scarpe in modo inconscio mentre digita cose incomprensibili sulla sua tastiera. L’unica persona che si salva è la Master Director, una sorta di preside, che ama mangiare sano (si fa per dire), tant’è che preso dalla disperazione la sto invitando ad andare a pranzo insieme in città tutti i giorni. Peccato che sia sposata con una figlia di 7 anni. In questa settimana conoscerò più gente… vi saprò dire!
La gente fuori. Gli americani sono proprio un popolo diverso da noi. Ogni volta che ti rivolgi ad un americano ti dice “Hey, how are you doing?”... manco ti conosco, cosa cavolo ti interessa come sto… In realtà sono molto gentili e socievoli, non è raro che se sei fermo alla stazione del treno o della metropolitana qualcuno ti rivolga la parola. Purtroppo molto spesso non sanno andare al di là di “How are you doing?” or “Wow” o “You’ll find a nice climate here”, ho l’impressione le relazioni che si possono instaurare con loro siano abbastanza superficiali, ma forse mi sbaglio.
Mai come in America ci si sente europei, ancora prima che italiani. Di europei qui ce ne sono in giro veramente pochi, ma quei pochi li si riconosce lontano un miglio. Banalmente perché si vestono in modo decente e pesano meno di 100 kg. Oggi sono andato a San Francisco e sul treno ho conosciuto un gruppo di studenti europei: un ingegnere telecom austriaco, una studentessa austriaca di economia e un futuro psicologo milanese. La prima parola che ho captato dal milanese è stata “pirla”, così ho capito che era compatriota e ho attaccato bottone. Ragazzi simpatici, alla mano, e con cui si può parlare di qualcosa di serio.
San Francisco. E’ una città molto bella e affascinante, sicuramente più di Los Angeles, Las Vegas o Toronto. L’unico problema è che oggi noi ignari europei ci siamo imbattuti in una famosissima festa metropolitana, il Forlom St festival, che ogni anno a fine settembre attrae più di mezzo milione di persone da tutto il mondo. Si tratta di una vera e propria fiera, con bancarelle, banchi di beneficenza, spettacoli di musica, canto e danza, unico dettaglio è che è popolata da gay nudi e in catene. Penso nella mia vita di non aver mai visto nulla di simile, scene agghiaccianti che le parole non possono descrivere. Per fortuna del tutto innocui, nel senso che quando vedevano che eri vestito non ti prendevano neppure in considerazione. Comunque è stata un’esperienza culturale che forse una volta nella vita (non di più) è interessante fare.
Al di là di questo San Francisco è una città molto piacevole e stimolante da girare a piedi, alcune strade ricordano vagamente il cosmopolitismo di Londra. Oggi ho visitato il SFMOMA, il museo di arte moderna, veramente interessante, e sono andato al molo a vedere la baia, con Alcatraz circondata dalla nebbia: bellissimo! Sicuramente ci tornerò, ci sono un sacco di cose da vedere. Su un palazzo oggi ho letto una frase che diceva che è stata una fortuna che Colombo sia sbarcato sulla East Cost, perché se fosse sbarcato a San Francisco gran parte dell’America sarebbe ancora inesplorata.
I centri commerciali. Girare per un centro commerciale americano è un’altra esperienza culturale che non ci si può perdere. Al di là delle schifezze inverosimili che si trovano nel reparto cibo, ho visto frutti e verdure che non sapevo neanche che esistessero. Il latte viene venduto solamente in confezioni da 1 gallone (circa 4 litri) e ha scadenze improbabili di due settimane o più. E’ praticamente impossibile trovare un oggetto banale come uno stenditoio (tutti usano gli asciugatori), in compenso trovi gli elettrodomestici più disparati, come un macchine per cuocere il riso, apriscatole elettrici, tritaspazzatura, aspirapolvere grossi come un tagliaerba, ecc. Non sono riuscito a trovare un pentolino per scaldare il latte più piccolo di un tegame dove noi faremmo bollire latte per 10 persone (d’altra parte loro il latte lo bevono freddo o al massimo lo scaldano nel microonde), in compenso vendono pentole così grosse che ci si potrebbe cuocere dentro una persona. Lo scottex è largo almeno il doppio del nostro. Dimenticavo di dire che i centri commerciali sono solitamente aperti 24h su 24 e includono un MacDonald o un PizzaHut, non si sa mai…
Insomma, gli USA sono un posto veramente strano, però la California alla fine è davvero affascinante, con le sue palme e le montagne sullo sfondo. Guidare al tramonto sulla quarta corsia della 101 da Palo Alto a San Francisco, col pilota automatico impostato rigorosamente sui 65 mph e con musica country in sottofondo è davvero un’emozione!